|
ono un professore universitario in una citta’ del Nord Italia. Prima di cominciare a raccontare la mia esperienza, vorrei dire che sono una persona con gusti ed abitudini sessuali molto normali. Le gambe sono sempre state la parte del corpo femminile che mi eccita di piu’ ma, ripeto, in modo assolutamente normale. Qualche mese fa mi trovavo a dover scegliere una persona a cui dare una borsa di studio, pagata piuttosto bene per la media italiana, e avevo visto diversi candidati. Silvia si presento’ da me un giovedi’ di inizio ottobre, a meta’ mattina. Fu accompagnata nel mio ufficio; appena la vidi pensai che non era affatto male, ma non mi sono mai fatto condizionare dall’aspetto fisico sul mio lavoro. Capelli neri, snella, occhi verdi magnetici. Indossava un tailleur fucsia su un dolcevita aderente nero, con gonna corta sopra il ginocchio, calze nere, scarpe nere di vernice. Molto classica, soprattutto per una ragazza giovane. Mi colpi’ subito la sua disinvoltura. Si sedette senza aspettare il mio invito, accavallo’ le gambe (bellissime) e comincio’ a studiarsi le scarpe. “Doveva proprio piovere oggi” disse. In effetti era un po’ di giorni che non pioveva e le prime ore di pioggia avevano creato quella fanghiglia fastidiosa che imbratta tutto. Notai piccole macchie di sporco sulle sue scarpe, niente di piu’. “Non avrebbe qualcosa per pulire le mie scarpe: sonole migliori che ho, sa, le ho messe apposta per oggi e mi spiacerebbe rovinarle”. Che modo di cominciare un colloquio di lavoro. Uscii dall’ufficio, trovai della carta assorbente nel laboratorio e gliela porsi. Lei si levo’ una scarpa e me la mise in mano. “Le spiace? Io sono vestita in ordine, mi sporcherei tutta”. Sorprendendo me stesso, cominciai a pulirle una scarpa, poi l’altra. Gliele restituii e tornai a sedermi. “Non mi offre un caffe’?” Cavoli, pensai, che pretese… “Si’ –dissi alzandomi- la macchina e’ al piano di sotto”. “Ok, l’aspetto”. Mentre risalivo le scale pensavo che questa Silvia non avrebbe mai lavorato per me, con quei modi da principessina. Le scarpe, il caffe’…ma scherziamo? Tornai all’ufficio, mi risiedetti e le porsi il caffe’. Lei intanto cercava una posizione comoda sulla sedia, accavallando e scavallando le gambe, tirandosi giu’ la gonna (senza risultato) e fissandomi con quegli occhi da gatta. Con mio grande imbarazzo, mi stavo eccitando. Cercai comunque di cominciare col mio solito discorsetto d’inizio colloquio. Gli occhi pero’ continuavano a scivolare sulle sue cosce, e il suo sorrisetto ironico mi diceva chiaramente che lei se n’era accorta. Comincio’ a carezzarsi le gambe, come per massaggiarsele, senza levarmi gli occhi di dosso. Finito di spiegarle il progetto, le chiesi: “Qualche domanda?” “Quando comincio?” rispose lei. “Guardi che lei non e’ l’unica candidata, il posto non e’ ancora suo. Questo colloquio serve a me per capire il suo background e se lei va bene per questo lavoro. Mi vuole dire qualcosa sul suo lavoro di tesi?” Mi fece un sorriso da sciogliermi. “Preferirei dirle che mi sono accorta di come mi guarda e che, se questo puo’ farla felice, io mi vesto spesso cosi’, o anche piu’ sexy. Lei dice che il posto non e’ ancora mio, io penso che lo sia, e non le devo raccontare proprio niente per convincerla.” La voce era calma, lei si dondolava lentamente scoprendo le cosce fino quasi all’inguine. Non sapevo cosa fare, non riuscii a dire niente.”Ci pensi, I prossimi due anni li puo’ passare con o senza di me. La scelta e’ sua. Pero’ voglio essere chiara: non si illuda di portarmi a letto. Sa come si dice…guardare e non toccare.” Si alzo’, riassetto’ la gonna e mi diede un’altra delle sue occhiate. “So gia’ che ti innamorerai di me-concluse- cerca di non cascarci, perche’ gli uomini come te non sono il mio massimo”. “Cosa vuol dire ‘uomini come me’?” “Deboli” concluse gelida lei. “Hai il mio telefono, chiamami quando hai deciso di darmi il lavoro”. Usci’ lasciandomi solo a schiumare di rabbia. Chi cavolo si credeva di essere? Una dea? Per una cazzuta borsa di studio fare tanto la diva? Ebbi la tetazione di fare a pezzi il suo curriculum, poi lo misi nella pila ‘gia’ scartati’. Incontrai due altri candidati quel giorno, ma non riuscivo a scacciare Silvia dalla mia mente. La sua voce, le gambe, gli occhi erano sempre con me, non mi mollavano un attimo. Il giorno dopo non dovevo vedere altri candidati, e dovevo prendere una decisione. Tirai fino a sera, poi la chiamai. Volevo assolutamente rivederla. Tentai comunque di salvarmi la faccia: “Senta-le dissi- la sua personalita’ mi piace molto, ma non dimentichiamoci che dobbiamo lavorare insieme, qui. Torni domani e facciamo una chiacchierata sulla parte scientifica, cosi’ la posso valutare per intero.” Mi gelo’ di nuovo. “Perche’ non mi dici la verita’? Perche’ non mi dici che muori dalla voglia di rivedermi?” Rimasi in silenzio. “Vengo solo, e accetto il lavoro solo se mi dici che e’ cosi’” “Si’, e’ cosi’. Ti prego, vieni” “Vestita come l’altro giorno, ti piaceva?” “Lo sai”. “Ok, domani alle 11.” Era sabato mattina, e c’era molta meno gente in istituto (purtroppo pero’ qualcuno c’era). Ero nervosissimo. Quando lei arrivo’ il cuore mi batteva all’impazzata. Cosa mi sta succedendo? pensavo. Mi alzai dalla sedia, lei si chiuse la porta dietro di se’, mi sorrise. “Se vuoi, ti concedo di baciarmi le scarpe. Non i piedi, le scarpe. Non sbavarmi sui collant, che mi costano 30,000 lire”. Lo feci. Mi buttai giu’, baciandole e leccandole le scarpe. Mi sembrava di non essere mai stato cosi’ felice ed eccitato. “Che bravo cagnolino che sei. Meriteresti quasi che ti faccia godere” “Oh Silvia, sssii ti prego”. Si sedette. “Levati i calzoni, dai” Obbedii. Lei intanto si accese una sigaretta. Sorrise alla mia erezione, accavallo’ le gambe. “Striscia fino ai miei piedi e strofinaci su l’uccello. Penso che per un cagnolino come te sia sufficiente.” Il mio cazzo in tiro senti’ prima la pelle delle scarpe, poi il nylon delle calze. Lei mosse il suo piede fino sotto le mie palle e comincio’, lentamente, a schiacciare. Io pompavo su e giu’, e facevo fatica a non urlare. “Ti adoro Silvia, Dio quanto ti amo” dissi appena prima di venire. Lei fece scivolare velocemente via il piede, e io rimasi steso in terra, in una venuta senza fine, imbrattando il pavimento e la mia camicia. Avevo a malapena finito che sentii la porta chiudersi alle spalle di Silvia. Mi resi conto che c’era gente in istituto e, ansimando mi rimisi su i pantaloni e mi sedetti alla scrivania. Dopo aver pulito il lago del mio sperma, trovai la calma di prendere in mano le carte dell’associazione che finanziava la borsa di studio per Silvia. Scrissi il suo nome nella casella. Poi andai al computer e scrissi che, visto l’alto livello scientifico della candidata, richiedevo che le venisse pagata la borsa spettante ai soli candidati stranieri (molto piu’ alta che per un candidato italiano). Sono felice di dire che, fidandosi di me, l’associazione, in via eccezionale, accetto’.
Silvia comincio’ a lavorare presso di me; all’inizio ne ero molto nervoso, ma lei si comportava in maniera totalmente normale, come se nulla fosse mai successo. A mia volta, io mi vergognavo non poco dell’accaduto, e mi andava benissimo che fosse cosi’. Aveva anche preso a vestirsi in maniera piu’ sportiva e non aveva piu’ quegli atteggiamenti che mi avevano costretto a strisciare (letteralmente) per lei. Questo pero’ non bastava ad evitare che alle volte, solo guardandola, cominciassi ad eccitarmi, ed allo stesso tempo ad aver paura di lei. Sfogavo questa eccitazione su mia moglie, che scopavo furiosamente e piu’ frequentemente del solito. Dopo alcuni mesi pero’, Silvia venne in laboratorio in minigonna, con uno splendido completo lilla, impreziosito da calze nere velate (era ormai meta’marzo) e tacchi alti. Tutti, nessuno escluso, le fecero gran complimenti per quanto stava bene. Dovevamo discutere dei dati quel giorno, e ci sedemmo alla mia scrivania. Dopo pochi minuti, eccitato dalla sua presenza e dal suo profumo, non riuscii piu’ a trattenermi e le carezzai velocemente una coscia. Silvia fece partire uno schiaffo cosi’ forte da farmi volar via gli occhiali, e da farmi pensare che tutti nel laboratorio, che e’ appena a fianco dell’ufficio, avevano probabilmente sentito. Si alzo' e mi guardo’ con superiorita’: ‘Proprio non riesci a tenere le mani a posto eh? Come osi toccare la tua signora? Ti metto a posto io…’ Usci’ infuriata dall’ufficio e apparentemente se ne torno’ a casa. Riappari’ un paio d’ore dopo, mi chiese se potevamo riprendere la discussione, e cosi’ ritornammo nel mio ufficio. ‘Scusami tanto Silvia, non accadra’ mai piu’’. ‘Ah, ci puoi scommettere. E piantala di piagnucolare. Ho capito che devi sfogarti un attimo prima di avere la testa sul lavoro’. Tiro’ fuori da una scatola che aveva portato con se’ un paio di scarpe nere col tacco, quelle che aveva indosso la prima volta che ci eravamo visti, e me le mise in mano.‘Tu non hai nessun diritto di toccarmi-sibilo’- ma ti concedo l’onore ed il grandissimo piacere di far l’amore con le mie scarpe’. ‘Cosa stai farneticando?’ ero sempre piu’ agitato. ‘Oh, penso che tu lo abbia capito benissimo’. Si sedette, e lascio’ salire la gonna talmente in alto che vedevo la mutanda del collant, dove il nero diventa piu’ intenso. Abbassai lo sguardo sulle scarpe che avevo in mano; Silvia ci aveva messo della carta igienica per rendere l’interno piu’ morbido. ‘Dai bello, che non ho tutta la giornata’. Sapevo di non avere scelta. ‘Posso anche baciarti i piedi?’ Silvia alzo’ le spalle ‘Se proprio non puoi farne a meno…’. Mi levai pantaloni e mutande e strisciai ai piedi di Silvia. Appoggiai sul pavimento la scarpa che mi aveva dato e ci infilai il mio cazzo gia’ ben in tiro. La discesa da tacco a punta sembrava proprio una vagina e cominciai a spingere avanti e indietro. Intanto baciavo furiosamente le altre scarpe, quelle che Silvia portava ai piedi. Da quella posizione le sue gambe velate di nero mi sembravano lunghe chilometri. Il bordo della scarpa che stavo scopando, dalla parte del tacco, mi stava segando nelle palle, ma questo si univa all’eccitazione. Il plantare della scarpa era morbidissimo, cosi’ come la pelle vicino alla punta. Non mi fregava niente che qualcuno potesse entrare e trovarmi in quella umiliante posizione, anzi mi eccitava maggiormente. Strinsi la punta della scarpa con due dita per farla meglio aderire al cazzo e partii per una venuta stratosferica. Il mio viso ricadde dai piedi di Silvia, mentre, completamente fuori controllo, sbavavo abbondantemente sul pavimento. Lei si alzo’ e mi giro’ intorno. ‘Ti do due minuti per riprenderti e poi parliamo di lavoro’. Usci’ richiudendo la porta. Ancora una volta pregai che nessuno entrasse in quel momento, e cercai di ricompormi. Silvia rientro’ e mi sorrise. ‘Te le regalo, le scarpe. Io non le metterei piu’ di certo. Ricordati sempre che sono state mie, che c’e’ entrato solo il mio piede velato dai collant. Cerca solo di non darci dentro troppo e di non distruggerle troppo in fretta’. ‘Ma se tu non sei li’ con me, non c’e’ gusto…’ protestai. ‘Sono sicura che solo il pensare a me ti sara’ sufficiente’. E tiro’ fuori i dati del suo lavoro come niente fosse. Restammo a discutere i suoi dati a lungo, finche’, uscendo per andare in bagno, mi accorsi che eravamo rimasti soli nel dipartimento. Quando tornai Silvia stava riordinando le sue cose. Il vederla, e il sapere di essere solo con lei, mi eccito’ di nuovo. Avevo una gran voglia di baciarla, ma ormai avevo capito come andavano le cose… ‘Sono stato bravo Silvia, pensi che potrei ancora meritarmi qualcosa?’ ‘Non dirmi che vuoi rifarlo….sei insaziabile, prof!’ Mi sfioro’ il viso con una carezza. ‘Facciamo in fretta pero’, devo uscire con il mio ragazzo stasera, e sono gia’ in ritardo’. Stavolta pensai bene di chiudere la porta del mio ufficio a chiave, riempii di carta l’altra scarpa e mi spogliai. Ai suoi piedi di nuovo, mi misi stavolta ad esplorare con la lingua il confine tra il suo piede e la scarpa, sul fianco interno. Silvia inarco’ un pochino il piede, consentendomi di entrare con la lingua fin quasi a farle il solletico, e sentire il gusto del nylon delle calze. Questa sua piccola concessione mi eccito’ da morire, e cominciai a pompare sulla scarpa che stavo invece penetrando col mio cazzo. Il fatto che questa fosse una situazione ripetuta non tolse nulla alla violenza del mio orgasmo, anzi. Mentre ero squassato dalle contrazioni della mia eiaculazione pensai che mia moglie non mi aveva mai fatto godere cosi’. ‘Ti amo Silvia….ti adoro’ riuscii infine a dire. Lei era gia’ in piedi, borsetta in spalla. ‘Lo so. Ah, ricordati, mi devi un paio di scarpe’. Disse poi uscendo. Restai li’ sul pavimento, sentendomi sfinito, senza nessuna voglia di andare a casa.
|